IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione per questione di legittimita' Costituzionale. Letta la richiesta presentata in data 16 agosto 2007 nell'interesse di Cojocariu Cristian, imputato nel proc. n. 4194/05 RGNR-DDA, intesa ad ottenere la dichiarazione di perdita di efficacia della misura della custodia cautelare in carcere in atto applicata nei suoi confronti per i seguenti motivi: l'imputato e' stato tratto in arresto in data 16 febbraio 2007 per un periodo di 29 giorni su ordine della Corte d'appello di Timisoara (Romania) ai fini della consegna all'Italia; il reato piu' grave tra quelli per i quali e' stato emesso il titolo custodiale e' punito con la sanzione massima edittale di 15 anni e quindi il termine cautelare di fase risulta essere quello di cui all'art. 303, comma 1, lett. a), n. 2 c.p.p. (sei mesi), che pertanto e' decorso il 16 agosto 2007; nel caso in esame troverebbe applicazione l'art. 722 c.p.p. come modificato dalla C. cost. con sentenza n. 253 del 2004, e non l'art. 33 della legge n. 69/2005 (mandato di arresto europeo), in quanto alla data di emissione da parte del g.i.p. del m.a.e. nei confronti del Cojocariu (3 gennaio 2007) la Romania non aveva ancora adottato la disciplina di adeguamento alla normativa comunitaria, essendo la stessa entrata a far parte dell'Unione europea in data 1 gennaio 2007, ossia appena due giorni prima dell'emissione del m.a.e.; l'applicazione della disciplina generale in materia di estradizione (e quindi dell'art. 722 c.p.p.) e non della legge n. 69/2005 troverebbe conferma anche dal tipo di procedura adottata per eseguire l'arresto dell'indagato, si deduce, tra l'altro, che il riferimento all'istituto dell'arresto provvisorio (estraneo alla disciplina del m.a.e.) dimostrerebbe il fatto che ad essere applicata era stata la normativa prevista dalla Convenzione europea di estradizione del 1957; Visto il parere espresso dal p.m.; O s s e r v a La questione preliminare da risolvere ai fini della presente decisione e' quella relativa alla norma da applicare in riferimento alla vicenda relativa all'arresto del cittadino rumeno Cojocariu Cristan, avvenuto in Romania il 16 febbraio 2007 in esecuzione del m.a.e. emesso dal g.i.p. di Reggio Calabria il 3 gennaio 2007. Secondo la difesa non troverebbe applicazione l'art. 33 della legge n. 69/2005, che testualmente prevede: «Il periodo di custodia cautelare sofferto all'estero in esecuzione del mandato d'arresto europeo e' computato ai sensi e per gli effetti degli articoli 303 comma 4, 304 e 657 del codice di procedura penale», ma l'art. 722 c.p.p., nel testo risultante dopo l'intervento della Corte Costituzionale, che, con sentenza n. 253 dell'8 luglio 2004, ne ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale «nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3 dello stesso codice» (il testo vigente dell'art. 722 e' il seguente: «La custodia cautelare all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato e' computata ai soli effetti della durata complessiva stabilita dall'art. 303, comma 4, fermo restando quanto previsto dall'art. 304, comma 4 (oggi 6)»). In buona sostanza, il testo vigente dell'art. 33, legge n. 69/2005 e il testo dell'art. 722 c.p.p. (prima dell'intervento della Corte Costituzionale) sono esattamente identici! Aderendo all'impostazione sostenuta dalla difesa, il termine di custodia cautelare di fase (di sei mesi, per come previsto dall'art. 303, comma 1, lett. a) n. 2 c.p.p.). sarebbe decorso il 16 agosto 2007 (cioe' sei mesi dopo l'esecuzione dell'arresto del Cojocariu in Romania); optando per l'applicazione dell'art. 33, legge n. 69/2005, tale termine andrebbe a maturare il 5 settembre 2007 (cioe' sei mesi dopo l'esecuzione dell'arresto in Italia del medesimo, avvenuto il 5 marzo 2007). Orbene, per quanto riguarda la normativa di riferimento, non ha riserve questo giudice ad affermare che trova integrale applicazione la legge n. 69/2005, avendo la Romania, al pari dell'Italia, recepito la decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio europeo sul mandato d'arresto europeo con la legge approvata dal locale Parlamento n. 302 del 28 giugno 2004, emendata ed integrata con successiva legge n. 224/2006. Come ha opportunamente notato il p.m. nel parere di rito, l'art. 189 della prefata legge rumena n. 322/04 (acquisita in lingua inglese) ha espressamente previsto, al comma 1: «This Law shall enter force 60 days after its publication in the Official Journal of Romania, Part I, except for the provisions of Title III, as well as for those of Chapter III in Title II, Chapter II in Title IV and Chapter II in Title VII, which are to enter force at the date of Romanias accession to the European Union» (cosi' traducibile: «Questa legge entrera' in vigore 60 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Romania, Parte I, eccetto per le previsioni del titolo III, cosi' come per le previsioni del Capitolo III del titolo II, del Capitolo II del titolo IV e del Capitolo II del titolo VII, che entreranno in vigore alla data di ingresso della Romania nell'Unione Europea»). Il comma 2 dello stesso articolo prevede: «Beginning with the date of Romanias accession to the European Union, the provisions of Title III shall replace, in relation to the Member States of the European Union, the provisions on extradition, unless the Member State in the territory of which the sought person is staying has uttered declarations on the non-application of the Council Framework Decision of 13 june 2002 on the European Arrest Warrant and the surrender procedures between Member States of the European Union for acts committed prior to a certain date» (cosi' traducibile: «A far data dall'ingresso della Romania all'Unione Europea, le disposizioni del Titolo III sostituiranno, con riferimento agli Stati membri dell'Unione Europea, le disposizioni sull'estradizione, a meno che lo Stato membro nel cui territorio la persona ricercata si trovi abbia depositato dichiarazioni di non applicazione della decisione quadro del 13 giugno 2002 sul mandato d'arresto europeo le procedure di consegna tra Stati membri dell'Unione Europea per fatti commessi prima di una certa data»). Il Titolo III della predetta legge (artt. 77-108) e', appunto, intitolato, «Provisions on cooperation with the Member States of the European Union in application of the Council Framework Decision No. 2002/584/JHA of 13 june 2002 on the European arrest warrant and the surrender procedures between Member States» (cosi' traducibile: «Provvedimenti in merito alla cooperazione con gli Stati membri della Unione Europea in esecuzione della decisione quadro del Consiglio No. 2002/584/JHA del 13 giugno 2002 sul mandato d'arresto europeo e sulle procedure di consegna tra Stati membri»). Essendo, dunque, entrata a regime anche in Romania, a decorrere dalla sua data d'ingresso nell'U.E. (1 gennaio 2007) la disciplina sul m.a.e., e' da notare come la Corte d'appello di Timisoara (organo giudiziario competente, ai sensi di quanto previsto dall'art. 78, comma 2 della legge romena n. 302/04) abbia fatto costantemente riferimento al «mandato d'arresto europeo» (pag. 1, rigo 15; pag. 2, rigo 9; pag. 3, rigo 3-24; pag. 4, rigo 16; pag. 5, rigo 2-6, della sentenza penale n. 19/P1 del 16 febbraio 2007). Nello stesso provvedimento con il quale la Corte d'appello di Timisoara ha disposto l'arresto del Cojocariu e la sua consegna allo Stato italiano, vi sono dei passaggi che danno piu' marcata conferma che quell'organo di giustizia si e' attenuto alle disposizioni della decisione quadro in materia di mandato d'arresto europeo, recepite in quella Nazione con la piu' volte citata legge n. 302/2004: ad esempio, a pag. 2, si da' atto che al ricercato vengono spiegati il contenuto delle disposizioni dell'art. 73 della legge n. 302/2004 riguardo la cooperazione giudiziaria nella materia penale, sotto l'aspetto della regola della specialita'; a pag. 3, si da' atto del fatto che il rappresentante del pubblico ministero «in base al mandato d'arresto europeo ed in base alle disposizioni dell'art. 89, comma 3, legge n. 320/2004» sollecita che il Tribunale disponga l'arresto del cittadino romeno ricercato internazionale; a pag. 4 si fa richiamo al «dispositivo emesso nella seduta del 14 febbraio 2007 dalla Corte d'appello di Timisoara in base all'art. 88, comma 5 della legge n. 302/2004»). Sulla base delle considerazioni sin qui rassegnate, non puo' che concludersi nel senso che trova applicazione, ai fini del computo del periodo di custodia cautelare sofferto all'estero dal Cojocariu, la previsione dell'art. 33 della legge n. 69/2005 che stabilisce una regola diversa ed opposta rispetto a quella oggi operante per le ordinarie procedure estradizionali (vale a dire - come espressamente specificato dall'art. 696 c.p.p. - per tutte quelle non disciplinate dalle norme sulla convenzione europea di assistenza giudiziaria del 1959, dalla normativa sul mandato di arresto europeo e dalle altre convenzioni internazionali) dall'art. 722 c.p.p. (post C. cost. n. 253/2004), escludendo dalla computabilita' ai fini del calcolo del termine di fase il periodo di custodia presofferta all'estero. Non e', tuttavia, condivisibile l'opinione espressa dal p.m. nel parere di rito e cioe' che la disposizione contenuta nell'art. 33, legge n. 69/2005, corrisponderebbe a quanto previsto dall'art. 26 della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio («Deduzione del periodo di custodia scontato nello Stato di esecuzione - 1. Lo Stato membro emittente deduce il periodo complessivo di custodia che risulta dall'esecuzione di un mandato d'arresto europeo dalla durata totale della detenzione che dovra' essere scontata nello Stato emittente in seguito alla condanna a una pena o a una misura di sicurezza privative della liberta'. 2. A tal fine l'autorita' giudiziaria dell'esecuzione o l'autorita centrale designata ai sensi dell'articolo 7 trasmette all'autorita' giudiziaria emittente, all'atto della consegna, tutte le informazioni relative alla durata del periodo di custodia del ricercato in base al mandato d'arresto europeo»), atteso che, come e' evidente dalla piena lettura del testo di quest'ultima disposizione, l'unica «deduzione» alla quale fa riferimento la norma contenuta nella decisione quadro e' quella correlata alla pena definitiva inflitta all'esito del giudizio (secondo le regole, espressamente richiamate dall'art. 33, legge n. 60/2005, dell'art. 657 c.p.p.), mentre nessuna previsione viene riferita alla disciplina della custodia cautelare, che deve cosi' intendersi interamente affidata all'autonomia del legislatore nazionale. Il pubblico ministero ha acutamente notato come «l'esame dell'excursus legislativo appare funzionale ad evidenziare come l'approvazione della legge sia avvenuto ben dopo l'intervento della sentenza della Corte costituzionale citata nell'istanza difensiva, relativa - comunque - a fattispecie (l'estradizione) che, nel caso di' specie, non si applica, per la prevalenza dell'istituto del mandato d'arresto europeo e della relativa disciplina legislativa». E' indubitabile, infatti, che la legge n. 69/2005 sia stata licenziata in data successiva alla sentenza della Corte costituzionale n. 253 dell'8 luglio 2004 (l'approvazione definitiva e' del 12 aprile 2005; la promulgazione del 22 aprile 2005). E', tuttavia, la lettura degli atti dei lavori parlamentari (in particolare il resoconto stenografico della seduta n. 466 del 12 maggio 2004 della Camera dei deputati relativo proprio all'esame dell'art. 33, prodotto dal pubblico ministero) che da' il senso evidente della mancata considerazione da parte dei deputati di quanto affermato dal Giudice delle leggi nella sentenza sopra menzionata. E' importante ripercorrere i passaggi piu' significativi del predetto intervento di censura costituzionale per comprendere come un consapevole e meditato discostamento dalle enunciazioni di diritto contenute nella sentenza n. 253/2004 avrebbero richiesto un esame ben piu' approfondito ed attento da parte del legislatore: esame che, invece, e' stato del tutto omesso. Si legge, testualmente, nella pronuncia della Corte Costituzionale: «Il testo attualmente in vigore dell'art. 722 cod. proc. pen. e' frutto delle modifiche introdotte dall'art. 10 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356. Il testo originario prevedeva che la detenzione all'estero a fini estradizionali fosse computata nella durata della custodia cautelare secondo le regole generali, e quindi anche ai fini della decorrenza dei termini di fase, ferma restando la sospensione nella fase del giudizio durante il tempo in cui il dibattimento fosse sospeso o rinviato per impedimento dell'imputato (tale ritenendosi, secondo la relazione al Progetto preliminare del codice, la carcerazione subita all'estero a seguito di una domanda di estradizione), nonche' la proroga prevista dall'art. 305 cod. proc. pen. ove la custodia dell'imputato nel territorio dello Stato fosse necessaria per il compimento di attivita' probatorie. Nella relazione al decreto-legge n. 306 del 1992 il computo del periodo di detenzione all'estero solo ai fini della durata complessiva della custodia cautelare e' giustificato dal "fatto che le fasi precedenti alla procedura di estradizione sfuggono alla disponibilita' dello Stato italiano" e che da vari Paesi che offrono all'Italia cooperazione internazionale era "venuta la richiesta di poter usufruire di maggior tempo per lo svolgimento delle procedure estradizionali". Sebbene la nuova disciplina sia stata oggetto di critiche perche' avrebbe privilegiato le esigenze processuali a scapito della tutela della liberta' personale. la giurisprudenza di legittimita' ne ha in piu' occasioni sostenuto la "ragionevolezza", rilevando che la durata della detenzione non e' ricollegabile all'inerzia dell'autorita' giudiziaria nazionale, ma deriva da una situazione volontariamente creata dalla persona sottoposta alle indagini, rifugiatasi o comunque trasferitasi all'estero. L'art. 15 della legge 8 agosto 1995, n. 332, ha poi integralmente sostituito l'art. 304 cod. proc. pen., nel cui comma 6 e' stata collocata la disciplina del termine finale complessivo della custodia cautelare (prima contenuta nel comma 4, oggetto di richiamo nella norma impugnata) e sono stati introdotti i termini finali di fase. La giurisprudenza di legittimita' non ha peraltro modificato l'interpretazione dell'art. 722 cod. proc. pen., giungendo in un caso ad affermare espressamente (Cass., sez. VI, sentenza n. 555 del 22 settembre 2000) che il richiamo operato da tale norma al comma 4 (ora 6) dell'art. 304 cod. proc. pen. si sostanzia in un rinvio ricettizio (o materiale) al contenuto del comma vigente al momento della modifica dell'art. 722; con la conseguenza che, ai fini della durata della custodia cautelare all'estero, non solo non sarebbe rilevante la distinzione tra termini finali di fase e termine finale complessivo, ma quest'ultimo dovrebbe essere ancora calcolato esclusivamente con riferimento ai due terzi della pena massima prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza (e non, come da ultimo stabilito, con riferimento ai termini di durata complessiva previsti dall'art. 303, comma 4, cod. proc. pen. aumentati della meta' ovvero, solo se piu' favorevole, al limite dei due terzi del massimo della pena prevista per il reato contestato). 4. - Le vicende legislative degli artt. 722 e 304, comma 6, cod. proc. pen., la decisione di questa Corte che, con riferimento all'art. 3 cost., ha affermato, al fine di ritenere sussistente il legittimo impedimento a comparire, che la detenzione dell'imputato all'estero, concretando comunque "un fatto materiale di impossibilita' a comparire", non puo' essere "assunta a ragionevole presupposto di una diversita' di trattamento" rispetto alla detenzione in Italia (sentenza n. 212 del 1974); la recente pronuncia (n. 21035 del 2003) con cui le sezioni unite della Corte di cassazione, conformemente a precedenti relativi alla piena fungibilita' tra la custodia cautelare sofferta in Italia e quella subita all'estero, hanno affermato che anche la detenzione all'estero a fini di estradizione costituisce legittimo impedimento a comparire, in quanto a nulla rileva che l'imputato non abbia prestato il consenso all'estradizione, sono tutti elementi che concorrono a dimostrare l'illegittimita' costituzionale della disciplina censurata. In effetti, una volta affermata l'equivalenza tra detenzione cautelare all'estero in attesa di estradizione e custodia cautelare in Italia, evidenti motivi di razionalita' e coerenza interna del sistema impongono di applicare alla custodia cautelare all'estero la medesima disciplina prevista per la durata dei termini di custodia cautelare in Italia. In particolare, rientrando anche la detenzione all'estero tra i motivi di legittimo impedimento a comparire che determinano la sospensione del decorso dei termini di custodia cautelare previsti dall'art. 304, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., non vi e' alcuna ragione che possa giustificare per la detenzione all'estero una disciplina diversa da quella prevista dagli artt. 303 e 304, comma 6, cod. proc. pen. per la durata dei termini massimi della custodia cautelare in Italia. L'irragionevole disparita' di trattamento dell'imputato detenuto all'estero in attesa di estradizione rispetto all'imputato in custodia cautelare in Italia determina quindi, in riferimento all'art. 3 Cost., l'illegittimita' costituzionale dell'art. 722 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, dello stesso codice». Le enunciazioni piu' rilevanti contenute nel predetto arresto sono le seguenti: la detenzione dell'imputato all'estero, concretando comunque «un fatto materiale di impossibilita' a comparire», non puo' essere «assunta a ragionevole presupposto di una diversita' di trattamento» rispetto alla detenzione in Italia (in questo senso il Giudice delle leggi supera sia l'argomentazione contenuta nella relazione al decreto-legge n. 306 del 1992 secondo la quale il computo del periodo di detenzione all'estero solo ai fini della durata complessiva della custodia cautelare sarebbe giustificato dal «fatto che le fasi precedenti alla procedura di estradizione sfuggono alla disponibilita' dello Stato italiano» e che da vari Paesi che offrono all'Italia cooperazione internazionale era «venuta la richiesta di poter usufruire di maggior tempo per lo svolgimento delle procedure estradizionali», sia l'adesiva interpretazione della giurisprudenza di legittimita' che in piu' occasioni ne aveva sostenuto la «ragionevolezza», rilevando che la durata della detenzione non era ricollegabile all'inerzia dell'autorita' giudiziaria nazionale, ma derivava da una situazione volontariamente creata dalla persona sottoposta alle indagini, rifugiatasi o comunque trasferitasi all'estero; una volta affermata l'equivalenza tra detenzione cautelare all'estero in attesa di estradizione e custodia cautelare in Italia, evidenti motivi di razionalita' e coerenza interna del sistema impongono di applicare alla custodia cautelare all'estero la medesima disciplina prevista per la durata dei termini di custodia cautelare in Italia (in particolare, rientrando anche la detenzione all'estero tra i motivi di legittimo impedimento a comparire che determinano la sospensione del decorso dei termini di custodia cautelare previsti dall'art. 304, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., non vi e' alcuna ragione che possa giustificare per la detenzione all'estero una disciplina diversa da quella prevista dagli artt. 303 e 304, comma 6, cod. proc. pen. per la durata dei termini massimi della custodia cautelare in Italia). Ebbene: se le ragioni di una disciplina discriminata (cosi' come prevista dall'art. 722 c.p.p. prima della sentenza C. cost. n. 253/2004) tra lo stato di detenzione in Italia e lo stato di detenzione all'estero, ai fini del computo della detenzione cautelare relativamente ai termini di fase di cui all'art. 303, comma 1 c.p.p., potevano trovare una giustificazione nella considerazione contenuta nella relazione al decreto-legge n. 306 del 1992 (che aveva modificato l'originaria previsione dello stesso art. 722 c.p.p.), secondo la quale il computo del periodo di detenzione all'estero solo ai fini della durata complessiva della custodia cautelare sarebbe giustificato dal «fatto che le fasi precedenti alla procedura di estradizione sfuggono alla disponibilita' dello Stato italiano» e che in questo caso la durata della detenzione non era ricollegabile all'inerzia dell'autorita' giudiziaria nazionale, ma derivava da una situazione volontariamente creata dalla persona sottoposta alle indagini, rifugiatasi o comunque trasferitasi all'estero; se la Corte costituzionale ha comunque gia' dichiarato la non conformita' alla Legge fondamentale di tale disciplina, affermando esplicitamente che la detenzione dell'imputato all'estero, concretando comunque «un fatto materiale di impossibilita' a comparire», non puo' essere «assunta a ragionevole presupposto di una diversita' di trattamento» rispetto alla detenzione in Italia; se si considera che la disciplina approvata con la decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio europeo del 13 giugno 2002, recepita dagli Stati facenti parte dell'Unione europea di risalente appartenenza e di recente ingesso (e tra questi, per cio' che qui interessa, la Repubblica di Romania - vedi la piu' volte citata legge rumena n. 302 del 28 giugno 2004, emendata e integrata con legge n. 224/20062004) ha stabilito modalita' e termini per la cattura e la consegna di persone condannate o raggiunte da misure privative della liberta' personale in forza di un provvedimento emesso da un'autorita' giudiziaria di altro Stato membro dell'U.E. estremamente piu' rapido e deburocratizzato rispetto a quanto era ipotizzabile in un sistema estradizionale non convenzionato, quale quello contemplato dall'art. 722 c.p.p. (in questo senso la legge italiana n. 69/2005 prevede la messa a disposizione dell'arrestato al presidente della Corte d'Appello entro 24 ore; la convalida dell'arresto entro le successive 48 ore; l'emissione dell'ordinanza sulla richiesta di esecuzione non oltre i successivi 10 giorni, in caso di consenso dell'arrestato alla consegna allo Stato richiedente, ovvero non oltre i successivi 60 giorni nei casi in cui non vi e' il consenso; termini ridotti per la proposizione del ricorso per cassazione e per la relativa pronuncia di legittimita'; la consegna alla Stato richiedente entro 10 giorni dalla sentenza divenuta irrevocabile o dall'ordinanza non impugnata). Risulta del tutto evidente che la previsione contenuta nell'art. 33 della legge n. 69/2005 disciplina una situazione esattamente identica (anzi piu' favorevole alle aspettative dell'interessato ad essere messo al piu' presto a disposizione dell'autorita' giudiziaria procedente per una piu' rapida definizione della sua posizione, con conseguente riduzione del periodo di custodia ai fini cautelari) a quella considerata dall'art. 722 c.p.p., nei medesimi termini che la Corte costituzionale con la sentenza n. 253 del 2004 ha dichiarato non conformi alla Costituzione per violazione dell'art. 3, avuto riguardo all'irragionevolezza della disparita' di trattamento dell'imputato (o indagato) detenuto all'estero in attesa di estradizione rispetto all'imputato (o indagato) in custodia cautelare in Italia agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303 commi 1-2-3 c.p.p. Vi e' quindi il fondato sospetto che la vigente previsione di cui all'art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69, determini un'irragionevole disparita' di trattamento dell'imputato (o indagato) detenuto all'estero in esecuzione del mandato d'arresto europeo fino al momento della sua consegna rispetto all'imputato (o indagato) in custodia cautelare in Italia agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1-2-3 c.p.p., con cio' integrando una violazione del principio di cui agli artt. 3 e 13 della Costituzione. Se il dubbio di costituzionalita' della norma di cui all'art. 33, legge 22 aprile 2005, n. 69, appare, quindi, non manifestamente infondato, per violazione degli artt. 3 e 13 della Costituzione, avuto riguardo all'irragionevolezza della disparita' di trattamento dell'imputato (o indagato) detenuto all'estero in esecuzione del mandato d'arresto europeo fino al momento della sua consegna rispetto all'imputato (o indagato) in custodia cautelare in Italia agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1-2-3 c.p.p., secondo la lettura operata dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 253 dell'8 luglio 2004 con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' «nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, dello stesso codice», l'indicata questione risulta certamente rilevante ai fini della decisione che questo g.u.p. e' chiamato ad assumere. Ove, infatti, si dovesse ritenere non conforme a Costituzione la vigente previsione dell'art. 33, legge n. 69/2005, Cojocariu Cristian dovrebbe essere rimesso in liberta' per effetto della dichiarazione di perdita di efficacia della misura cautelare emessa nei suoi confronti dal g.i.p. di Reggio Calabria il 28 giugno 2006 per decorrenza del termine di fase di cui all'art. 303 comma 1, lett. a) n. 2 c.p.p. di mesi sei dal momento del suo arresto in Romania in esecuzione del m.a.e. emesso dallo stesso g.i.p. in data 3 gennaio 2007 ed eseguito il 16 febbraio 2007. In caso contrario, non vi sarebbe nessuna dichiarazione di perdita di efficacia, dovendosi computare il termine di fase a partire dalla data della consegna dell'imputato in Italia, vale a dire dal 5 marzo 2007 (del periodo di custodia presofferta in Romania si dovrebbe tenere conto solo ai sensi degli artt. 303, comma 4, 304 e 657 c.p.p.).