IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza di rimessione per questione di
legittimita' Costituzionale.
   Letta   la   richiesta   presentata   in   data   16  agosto  2007
nell'interesse  di  Cojocariu Cristian, imputato nel proc. n. 4194/05
RGNR-DDA, intesa ad ottenere la dichiarazione di perdita di efficacia
della  misura  della  custodia cautelare in carcere in atto applicata
nei suoi confronti per i seguenti motivi:
     l'imputato  e'  stato tratto in arresto in data 16 febbraio 2007
per  un  periodo  di  29  giorni  su  ordine della Corte d'appello di
Timisoara (Romania) ai fini della consegna all'Italia;
     il  reato  piu'  grave tra quelli per i quali e' stato emesso il
titolo  custodiale  e'  punito con la sanzione massima edittale di 15
anni  e  quindi il termine cautelare di fase risulta essere quello di
cui  all'art.  303,  comma  1,  lett. a), n. 2 c.p.p. (sei mesi), che
pertanto e' decorso il 16 agosto 2007;
     nel caso in esame troverebbe applicazione l'art. 722 c.p.p. come
modificato  dalla C. cost. con sentenza n. 253 del 2004, e non l'art.
33  della  legge  n. 69/2005  (mandato di arresto europeo), in quanto
alla  data  di emissione da parte del g.i.p. del m.a.e. nei confronti
del  Cojocariu  (3 gennaio 2007) la Romania non aveva ancora adottato
la  disciplina  di adeguamento alla normativa comunitaria, essendo la
stessa  entrata  a  far  parte  dell'Unione europea in data 1 gennaio
2007, ossia appena due giorni prima dell'emissione del m.a.e.;
     l'applicazione   della   disciplina   generale   in  materia  di
estradizione  (e  quindi  dell'art.  722  c.p.p.)  e  non della legge
n. 69/2005  troverebbe  conferma anche dal tipo di procedura adottata
per  eseguire l'arresto dell'indagato, si deduce, tra l'altro, che il
riferimento  all'istituto  dell'arresto  provvisorio  (estraneo  alla
disciplina del m.a.e.) dimostrerebbe il fatto che ad essere applicata
era   stata  la  normativa  prevista  dalla  Convenzione  europea  di
estradizione del 1957;
   Visto il parere espresso dal p.m.;
                            O s s e r v a
   La  questione  preliminare  da  risolvere  ai  fini della presente
decisione  e'  quella relativa alla norma da applicare in riferimento
alla  vicenda  relativa  all'arresto  del  cittadino rumeno Cojocariu
Cristan,  avvenuto  in  Romania il 16 febbraio 2007 in esecuzione del
m.a.e. emesso dal g.i.p. di Reggio Calabria il 3 gennaio 2007.
   Secondo  la  difesa  non  troverebbe  applicazione l'art. 33 della
legge  n. 69/2005,  che testualmente prevede: «Il periodo di custodia
cautelare  sofferto  all'estero  in  esecuzione del mandato d'arresto
europeo  e'  computato  ai sensi e per gli effetti degli articoli 303
comma  4,  304  e  657 del codice di procedura penale», ma l'art. 722
c.p.p.,   nel   testo   risultante   dopo  l'intervento  della  Corte
Costituzionale,  che,  con  sentenza n. 253 dell'8 luglio 2004, ne ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  «nella parte in cui non
prevede  che  la  custodia cautelare all'estero in conseguenza di una
domanda  di  estradizione  presentata dallo Stato sia computata anche
agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303,
commi  1,  2 e 3 dello stesso codice» (il testo vigente dell'art. 722
e'  il  seguente: «La custodia cautelare all'estero in conseguenza di
una  domanda  di  estradizione presentata dallo Stato e' computata ai
soli  effetti della durata complessiva stabilita dall'art. 303, comma
4, fermo restando quanto previsto dall'art. 304, comma 4 (oggi 6)»).
   In buona sostanza, il testo vigente dell'art. 33, legge n. 69/2005
e  il  testo  dell'art. 722 c.p.p. (prima dell'intervento della Corte
Costituzionale) sono esattamente identici!
   Aderendo  all'impostazione  sostenuta  dalla difesa, il termine di
custodia  cautelare di fase (di sei mesi, per come previsto dall'art.
303,  comma  1,  lett.  a) n. 2 c.p.p.). sarebbe decorso il 16 agosto
2007  (cioe' sei mesi dopo l'esecuzione dell'arresto del Cojocariu in
Romania);  optando per l'applicazione dell'art. 33, legge n. 69/2005,
tale  termine andrebbe a maturare il 5 settembre 2007 (cioe' sei mesi
dopo  l'esecuzione dell'arresto in Italia del medesimo, avvenuto il 5
marzo 2007).
   Orbene,  per  quanto  riguarda la normativa di riferimento, non ha
riserve  questo giudice ad affermare che trova integrale applicazione
la legge n. 69/2005, avendo la Romania, al pari dell'Italia, recepito
la  decisione  quadro  2002/584/GAI del Consiglio europeo sul mandato
d'arresto europeo con la legge approvata dal locale Parlamento n. 302
del  28  giugno  2004,  emendata  ed  integrata  con successiva legge
n. 224/2006.
   Come  ha  opportunamente notato il p.m. nel parere di rito, l'art.
189  della  prefata  legge  rumena  n. 322/04  (acquisita  in  lingua
inglese) ha espressamente previsto, al comma 1: «This Law shall enter
force  60  days  after  its  publication  in  the Official Journal of
Romania,  Part  I, except for the provisions of Title III, as well as
for  those  of  Chapter  III  in Title II, Chapter II in Title IV and
Chapter  II  in  Title  VII,  which are to enter force at the date of
Romanias accession to the European Union» (cosi' traducibile: «Questa
legge  entrera'  in  vigore 60 giorni dopo la sua pubblicazione sulla
Gazzetta  Ufficiale della Romania, Parte I, eccetto per le previsioni
del  titolo  III,  cosi'  come per le previsioni del Capitolo III del
titolo II, del Capitolo II del titolo IV e del Capitolo II del titolo
VII,  che  entreranno  in  vigore alla data di ingresso della Romania
nell'Unione Europea»).
   Il comma 2 dello stesso articolo prevede: «Beginning with the date
of  Romanias accession to the European Union, the provisions of Title
III  shall  replace, in relation to the Member States of the European
Union,  the provisions on extradition, unless the Member State in the
territory   of  which  the  sought  person  is  staying  has  uttered
declarations on the non-application of the Council Framework Decision
of  13  june  2002  on  the European Arrest Warrant and the surrender
procedures  between  Member  States  of  the  European Union for acts
committed  prior  to  a certain date» (cosi' traducibile: «A far data
dall'ingresso  della  Romania all'Unione Europea, le disposizioni del
Titolo   III   sostituiranno,   con  riferimento  agli  Stati  membri
dell'Unione Europea, le disposizioni sull'estradizione, a meno che lo
Stato  membro  nel cui territorio la persona ricercata si trovi abbia
depositato  dichiarazioni  di non applicazione della decisione quadro
del  13  giugno  2002  sul  mandato d'arresto europeo le procedure di
consegna  tra  Stati  membri  dell'Unione  Europea per fatti commessi
prima di una certa data»).
   Il  Titolo  III  della  predetta legge (artt. 77-108) e', appunto,
intitolato,  «Provisions on cooperation with the Member States of the
European  Union  in application of the Council Framework Decision No.
2002/584/JHA  of  13 june 2002 on the European arrest warrant and the
surrender  procedures  between  Member  States»  (cosi'  traducibile:
«Provvedimenti in merito alla cooperazione con gli Stati membri della
Unione Europea in esecuzione della decisione quadro del Consiglio No.
2002/584/JHA del 13 giugno 2002 sul mandato d'arresto europeo e sulle
procedure di consegna tra Stati membri»).
   Essendo,  dunque,  entrata  a regime anche in Romania, a decorrere
dalla  sua  data  d'ingresso nell'U.E. (1 gennaio 2007) la disciplina
sul m.a.e., e' da notare come la Corte d'appello di Timisoara (organo
giudiziario  competente,  ai  sensi  di quanto previsto dall'art. 78,
comma  2  della  legge  romena  n. 302/04)  abbia fatto costantemente
riferimento  al «mandato d'arresto europeo» (pag. 1, rigo 15; pag. 2,
rigo  9;  pag. 3, rigo 3-24; pag. 4, rigo 16; pag. 5, rigo 2-6, della
sentenza penale n. 19/P1 del 16 febbraio 2007).
   Nello  stesso  provvedimento  con  il  quale la Corte d'appello di
Timisoara  ha disposto l'arresto del Cojocariu e la sua consegna allo
Stato  italiano, vi sono dei passaggi che danno piu' marcata conferma
che  quell'organo di giustizia si e' attenuto alle disposizioni della
decisione quadro in materia di mandato d'arresto europeo, recepite in
quella  Nazione  con  la  piu'  volte  citata  legge  n. 302/2004: ad
esempio,  a  pag. 2, si da' atto che al ricercato vengono spiegati il
contenuto  delle  disposizioni  dell'art.  73 della legge n. 302/2004
riguardo  la  cooperazione  giudiziaria  nella  materia penale, sotto
l'aspetto  della  regola della specialita'; a pag. 3, si da' atto del
fatto  che  il  rappresentante  del  pubblico  ministero  «in base al
mandato  d'arresto europeo ed in base alle disposizioni dell'art. 89,
comma  3,  legge  n. 320/2004»  sollecita  che  il Tribunale disponga
l'arresto  del cittadino romeno ricercato internazionale; a pag. 4 si
fa  richiamo al «dispositivo emesso nella seduta del 14 febbraio 2007
dalla Corte d'appello di Timisoara in base all'art. 88, comma 5 della
legge n. 302/2004»).
   Sulla  base  delle considerazioni sin qui rassegnate, non puo' che
concludersi nel senso che trova applicazione, ai fini del computo del
periodo  di  custodia cautelare sofferto all'estero dal Cojocariu, la
previsione  dell'art.  33  della  legge n. 69/2005 che stabilisce una
regola  diversa  ed  opposta  rispetto  a quella oggi operante per le
ordinarie  procedure estradizionali (vale a dire - come espressamente
specificato  dall'art. 696 c.p.p. - per tutte quelle non disciplinate
dalle  norme  sulla convenzione europea di assistenza giudiziaria del
1959,  dalla  normativa  sul mandato di arresto europeo e dalle altre
convenzioni  internazionali)  dall'art.  722  c.p.p.  (post  C. cost.
n. 253/2004), escludendo dalla computabilita' ai fini del calcolo del
termine di fase il periodo di custodia presofferta all'estero.
   Non  e',  tuttavia, condivisibile l'opinione espressa dal p.m. nel
parere  di  rito  e cioe' che la disposizione contenuta nell'art. 33,
legge  n. 69/2005,  corrisponderebbe  a  quanto previsto dall'art. 26
della  decisione  quadro  2002/584/GAI  del Consiglio («Deduzione del
periodo  di custodia scontato nello Stato di esecuzione - 1. Lo Stato
membro  emittente  deduce  il  periodo  complessivo  di  custodia che
risulta  dall'esecuzione di un mandato d'arresto europeo dalla durata
totale  della  detenzione  che  dovra'  essere  scontata  nello Stato
emittente  in  seguito  alla  condanna  a  una pena o a una misura di
sicurezza  privative  della  liberta'.  2.  A  tal  fine  l'autorita'
giudiziaria  dell'esecuzione o l'autorita centrale designata ai sensi
dell'articolo   7   trasmette  all'autorita'  giudiziaria  emittente,
all'atto  della  consegna, tutte le informazioni relative alla durata
del  periodo  di  custodia del ricercato in base al mandato d'arresto
europeo»), atteso che, come e' evidente dalla piena lettura del testo
di  quest'ultima  disposizione,  l'unica  «deduzione»  alla  quale fa
riferimento  la  norma  contenuta  nella  decisione  quadro e' quella
correlata  alla  pena  definitiva  inflitta  all'esito  del  giudizio
(secondo  le  regole,  espressamente  richiamate  dall'art. 33, legge
n. 60/2005,  dell'art.  657  c.p.p.), mentre nessuna previsione viene
riferita  alla  disciplina  della  custodia cautelare, che deve cosi'
intendersi   interamente   affidata   all'autonomia  del  legislatore
nazionale.
   Il   pubblico   ministero   ha  acutamente  notato  come  «l'esame
dell'excursus  legislativo  appare  funzionale  ad  evidenziare  come
l'approvazione  della  legge sia avvenuto ben dopo l'intervento della
sentenza  della  Corte  costituzionale citata nell'istanza difensiva,
relativa  -  comunque  - a fattispecie (l'estradizione) che, nel caso
di'  specie,  non  si  applica,  per  la prevalenza dell'istituto del
mandato d'arresto europeo e della relativa disciplina legislativa».
   E'  indubitabile,  infatti,  che  la  legge  n. 69/2005  sia stata
licenziata   in   data   successiva   alla   sentenza   della   Corte
costituzionale  n. 253  dell'8 luglio 2004 (l'approvazione definitiva
e' del 12 aprile 2005; la promulgazione del 22 aprile 2005).
   E',  tuttavia,  la  lettura degli atti dei lavori parlamentari (in
particolare  il  resoconto  stenografico  della  seduta n. 466 del 12
maggio  2004  della  Camera  dei  deputati relativo proprio all'esame
dell'art.  33,  prodotto  dal  pubblico  ministero)  che da' il senso
evidente della mancata considerazione da parte dei deputati di quanto
affermato dal Giudice delle leggi nella sentenza sopra menzionata.
   E'  importante  ripercorrere  i  passaggi  piu'  significativi del
predetto intervento di censura costituzionale per comprendere come un
consapevole  e  meditato  discostamento dalle enunciazioni di diritto
contenute nella sentenza n. 253/2004 avrebbero richiesto un esame ben
piu'  approfondito  ed  attento  da parte del legislatore: esame che,
invece, e' stato del tutto omesso.
   Si    legge,    testualmente,    nella   pronuncia   della   Corte
Costituzionale:  «Il  testo  attualmente in vigore dell'art. 722 cod.
proc.  pen. e'  frutto  delle  modifiche  introdotte dall'art. 10 del
decreto-legge  8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto
1992,  n. 356.  Il  testo  originario  prevedeva  che  la  detenzione
all'estero  a  fini estradizionali fosse computata nella durata della
custodia cautelare secondo le regole generali, e quindi anche ai fini
della  decorrenza  dei termini di fase, ferma restando la sospensione
nella fase del giudizio durante il tempo in cui il dibattimento fosse
sospeso  o  rinviato per impedimento dell'imputato (tale ritenendosi,
secondo   la   relazione  al  Progetto  preliminare  del  codice,  la
carcerazione   subita   all'estero   a  seguito  di  una  domanda  di
estradizione),  nonche'  la proroga prevista dall'art. 305 cod. proc.
pen.  ove  la custodia dell'imputato nel territorio dello Stato fosse
necessaria per il compimento di attivita' probatorie.
   Nella  relazione  al  decreto-legge n. 306 del 1992 il computo del
periodo   di   detenzione   all'estero  solo  ai  fini  della  durata
complessiva  della  custodia cautelare e' giustificato dal "fatto che
le  fasi  precedenti  alla  procedura  di  estradizione sfuggono alla
disponibilita'  dello Stato italiano" e che da vari Paesi che offrono
all'Italia  cooperazione  internazionale  era "venuta la richiesta di
poter  usufruire  di maggior tempo per lo svolgimento delle procedure
estradizionali".
   Sebbene  la nuova disciplina sia stata oggetto di critiche perche'
avrebbe  privilegiato  le esigenze processuali a scapito della tutela
della  liberta' personale. la giurisprudenza di legittimita' ne ha in
piu' occasioni sostenuto la "ragionevolezza", rilevando che la durata
della  detenzione  non  e'  ricollegabile  all'inerzia dell'autorita'
giudiziaria  nazionale,  ma  deriva da una situazione volontariamente
creata dalla persona sottoposta alle indagini, rifugiatasi o comunque
trasferitasi all'estero.
   L'art.  15 della legge 8 agosto 1995, n. 332, ha poi integralmente
sostituito  l'art.  304  cod.  proc.  pen.,  nel cui comma 6 e' stata
collocata la disciplina del termine finale complessivo della custodia
cautelare  (prima  contenuta  nel  comma 4, oggetto di richiamo nella
norma impugnata) e sono stati introdotti i termini finali di fase. La
giurisprudenza   di   legittimita'   non   ha   peraltro   modificato
l'interpretazione dell'art. 722 cod. proc. pen., giungendo in un caso
ad  affermare  espressamente  (Cass., sez. VI, sentenza n. 555 del 22
settembre 2000) che il richiamo operato da tale norma al comma 4 (ora
6) dell'art. 304 cod. proc. pen. si sostanzia in un rinvio ricettizio
(o  materiale)  al  contenuto  del  comma  vigente  al  momento della
modifica  dell'art. 722; con la conseguenza che, ai fini della durata
della  custodia  cautelare all'estero, non solo non sarebbe rilevante
la   distinzione   tra  termini  finali  di  fase  e  termine  finale
complessivo,   ma   quest'ultimo  dovrebbe  essere  ancora  calcolato
esclusivamente  con  riferimento  ai  due  terzi  della  pena massima
prevista  per il reato contestato o ritenuto in sentenza (e non, come
da ultimo stabilito, con riferimento ai termini di durata complessiva
previsti  dall'art.  303,  comma  4,  cod. proc. pen. aumentati della
meta'  ovvero,  solo  se piu' favorevole, al limite dei due terzi del
massimo della pena prevista per il reato contestato).
   4.  -  Le vicende legislative degli artt. 722 e 304, comma 6, cod.
proc.  pen.,  la  decisione  di  questa  Corte  che,  con riferimento
all'art.  3  cost.,  ha affermato, al fine di ritenere sussistente il
legittimo  impedimento  a  comparire, che la detenzione dell'imputato
all'estero,    concretando    comunque   "un   fatto   materiale   di
impossibilita'  a  comparire", non puo' essere "assunta a ragionevole
presupposto   di   una   diversita'  di  trattamento"  rispetto  alla
detenzione in Italia (sentenza n. 212 del 1974); la recente pronuncia
(n.  21035  del  2003)  con  cui  le  sezioni  unite  della  Corte di
cassazione,   conformemente   a   precedenti   relativi   alla  piena
fungibilita'  tra  la  custodia cautelare sofferta in Italia e quella
subita all'estero, hanno affermato che anche la detenzione all'estero
a fini di estradizione costituisce legittimo impedimento a comparire,
in  quanto  a  nulla  rileva  che  l'imputato  non  abbia prestato il
consenso  all'estradizione,  sono  tutti  elementi  che  concorrono a
dimostrare    l'illegittimita'    costituzionale   della   disciplina
censurata.
   In  effetti,  una  volta  affermata  l'equivalenza  tra detenzione
cautelare  all'estero  in attesa di estradizione e custodia cautelare
in  Italia,  evidenti  motivi  di razionalita' e coerenza interna del
sistema  impongono di applicare alla custodia cautelare all'estero la
medesima  disciplina  prevista  per la durata dei termini di custodia
cautelare  in  Italia. In particolare, rientrando anche la detenzione
all'estero  tra  i  motivi  di  legittimo impedimento a comparire che
determinano  la  sospensione  del  decorso  dei  termini  di custodia
cautelare  previsti  dall'art.  304,  comma 1, lettera a), cod. proc.
pen.,  non  vi  e'  alcuna  ragione  che  possa  giustificare  per la
detenzione all'estero una disciplina diversa da quella prevista dagli
artt.  303  e 304, comma 6, cod. proc. pen. per la durata dei termini
massimi della custodia cautelare in Italia.
   L'irragionevole  disparita'  di trattamento dell'imputato detenuto
all'estero   in  attesa  di  estradizione  rispetto  all'imputato  in
custodia   cautelare  in  Italia  determina  quindi,  in  riferimento
all'art.  3 Cost., l'illegittimita' costituzionale dell'art. 722 cod.
proc.  pen., nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare
all'estero  in  conseguenza di una domanda di estradizione presentata
dallo Stato sia computata anche agli effetti della durata dei termini
di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, dello stesso codice».
   Le enunciazioni piu' rilevanti contenute nel predetto arresto sono
le seguenti:
     la detenzione dell'imputato all'estero, concretando comunque «un
fatto  materiale  di  impossibilita'  a  comparire»,  non puo' essere
«assunta  a ragionevole presupposto di una diversita' di trattamento»
rispetto  alla detenzione in Italia (in questo senso il Giudice delle
leggi  supera  sia  l'argomentazione  contenuta  nella  relazione  al
decreto-legge n. 306 del 1992 secondo la quale il computo del periodo
di  detenzione all'estero solo ai fini della durata complessiva della
custodia  cautelare  sarebbe  giustificato  dal  «fatto  che  le fasi
precedenti    alla    procedura   di   estradizione   sfuggono   alla
disponibilita'  dello Stato italiano» e che da vari Paesi che offrono
all'Italia  cooperazione  internazionale  era «venuta la richiesta di
poter  usufruire  di maggior tempo per lo svolgimento delle procedure
estradizionali»,  sia  l'adesiva interpretazione della giurisprudenza
di   legittimita'  che  in  piu'  occasioni  ne  aveva  sostenuto  la
«ragionevolezza»,  rilevando  che  la durata della detenzione non era
ricollegabile  all'inerzia  dell'autorita'  giudiziaria nazionale, ma
derivava  da  una  situazione  volontariamente  creata  dalla persona
sottoposta   alle   indagini,  rifugiatasi  o  comunque  trasferitasi
all'estero;
     una  volta  affermata  l'equivalenza  tra  detenzione  cautelare
all'estero  in attesa di estradizione e custodia cautelare in Italia,
evidenti  motivi  di  razionalita'  e  coerenza  interna  del sistema
impongono di applicare alla custodia cautelare all'estero la medesima
disciplina  prevista  per la durata dei termini di custodia cautelare
in  Italia (in particolare, rientrando anche la detenzione all'estero
tra  i motivi di legittimo impedimento a comparire che determinano la
sospensione  del  decorso  dei termini di custodia cautelare previsti
dall'art. 304, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., non vi e' alcuna
ragione  che  possa  giustificare  per  la  detenzione all'estero una
disciplina diversa da quella prevista dagli artt. 303 e 304, comma 6,
cod.  proc.  pen.  per  la  durata dei termini massimi della custodia
cautelare in Italia).
   Ebbene:
     se  le  ragioni  di  una  disciplina  discriminata  (cosi'  come
prevista   dall'art.   722  c.p.p.  prima  della  sentenza  C.  cost.
n. 253/2004)  tra  lo  stato  di  detenzione  in Italia e lo stato di
detenzione all'estero, ai fini del computo della detenzione cautelare
relativamente ai termini di fase di cui all'art. 303, comma 1 c.p.p.,
potevano  trovare  una giustificazione nella considerazione contenuta
nella   relazione   al  decreto-legge  n. 306  del  1992  (che  aveva
modificato  l'originaria  previsione  dello  stesso art. 722 c.p.p.),
secondo la quale il computo del periodo di detenzione all'estero solo
ai  fini  della  durata  complessiva della custodia cautelare sarebbe
giustificato  dal  «fatto  che  le  fasi precedenti alla procedura di
estradizione sfuggono alla disponibilita' dello Stato italiano» e che
in  questo  caso  la  durata  della  detenzione non era ricollegabile
all'inerzia  dell'autorita' giudiziaria nazionale, ma derivava da una
situazione  volontariamente  creata  dalla  persona  sottoposta  alle
indagini, rifugiatasi o comunque trasferitasi all'estero;
     se  la  Corte  costituzionale ha comunque gia' dichiarato la non
conformita'  alla  Legge  fondamentale di tale disciplina, affermando
esplicitamente    che   la   detenzione   dell'imputato   all'estero,
concretando   comunque   «un  fatto  materiale  di  impossibilita'  a
comparire», non puo' essere «assunta a ragionevole presupposto di una
diversita' di trattamento» rispetto alla detenzione in Italia;
     se  si  considera  che  la disciplina approvata con la decisione
quadro  2002/584/GAI  del  Consiglio  europeo  del  13  giugno  2002,
recepita  dagli  Stati facenti parte dell'Unione europea di risalente
appartenenza  e  di  recente  ingesso (e tra questi, per cio' che qui
interessa, la Repubblica di Romania - vedi la piu' volte citata legge
rumena  n. 302  del  28  giugno  2004, emendata e integrata con legge
n. 224/20062004) ha stabilito modalita' e termini per la cattura e la
consegna  di persone condannate o raggiunte da misure privative della
liberta'   personale   in   forza   di  un  provvedimento  emesso  da
un'autorita' giudiziaria di altro Stato membro dell'U.E. estremamente
piu'  rapido e deburocratizzato rispetto a quanto era ipotizzabile in
un sistema estradizionale non convenzionato, quale quello contemplato
dall'art.  722  c.p.p.  (in questo senso la legge italiana n. 69/2005
prevede  la  messa  a disposizione dell'arrestato al presidente della
Corte  d'Appello  entro  24  ore;  la convalida dell'arresto entro le
successive  48  ore;  l'emissione  dell'ordinanza  sulla richiesta di
esecuzione  non  oltre  i  successivi  10 giorni, in caso di consenso
dell'arrestato alla consegna allo Stato richiedente, ovvero non oltre
i successivi 60 giorni nei casi in cui non vi e' il consenso; termini
ridotti  per  la  proposizione  del  ricorso  per cassazione e per la
relativa   pronuncia   di   legittimita';   la  consegna  alla  Stato
richiedente  entro  10  giorni dalla sentenza divenuta irrevocabile o
dall'ordinanza non impugnata).
   Risulta  del  tutto evidente che la previsione contenuta nell'art.
33  della  legge  n. 69/2005  disciplina  una  situazione esattamente
identica  (anzi  piu' favorevole alle aspettative dell'interessato ad
essere messo al piu' presto a disposizione dell'autorita' giudiziaria
procedente  per  una piu' rapida definizione della sua posizione, con
conseguente  riduzione  del  periodo di custodia ai fini cautelari) a
quella  considerata dall'art. 722 c.p.p., nei medesimi termini che la
Corte  costituzionale  con  la sentenza n. 253 del 2004 ha dichiarato
non  conformi  alla  Costituzione  per  violazione dell'art. 3, avuto
riguardo   all'irragionevolezza   della   disparita'  di  trattamento
dell'imputato   (o   indagato)   detenuto  all'estero  in  attesa  di
estradizione rispetto all'imputato (o indagato) in custodia cautelare
in  Italia  agli  effetti  della  durata dei termini di fase previsti
dall'art. 303 commi 1-2-3 c.p.p.
   Vi  e' quindi il fondato sospetto che la vigente previsione di cui
all'art.   33   della   legge   22   aprile  2005,  n. 69,  determini
un'irragionevole disparita' di trattamento dell'imputato (o indagato)
detenuto  all'estero in esecuzione del mandato d'arresto europeo fino
al  momento  della sua consegna rispetto all'imputato (o indagato) in
custodia cautelare in Italia agli effetti della durata dei termini di
fase  previsti dall'art. 303, commi 1-2-3 c.p.p., con cio' integrando
una  violazione  del  principio  di  cui  agli  artt.  3  e  13 della
Costituzione.
   Se  il dubbio di costituzionalita' della norma di cui all'art. 33,
legge  22  aprile  2005,  n. 69,  appare,  quindi, non manifestamente
infondato,  per  violazione  degli  artt.  3 e 13 della Costituzione,
avuto  riguardo  all'irragionevolezza della disparita' di trattamento
dell'imputato  (o  indagato)  detenuto  all'estero  in esecuzione del
mandato d'arresto europeo fino al momento della sua consegna rispetto
all'imputato  (o  indagato)  in  custodia  cautelare  in  Italia agli
effetti  della  durata  dei  termini  di fase previsti dall'art. 303,
commi  1-2-3  c.p.p.,  secondo  la lettura operata dalla stessa Corte
costituzionale con la sentenza n. 253 dell'8 luglio 2004 con la quale
e'  stata dichiarata l'illegittimita' «nella parte in cui non prevede
che la custodia cautelare all'estero in conseguenza di una domanda di
estradizione  presentata dallo Stato sia computata anche agli effetti
della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e
3,  dello  stesso  codice»,  l'indicata  questione risulta certamente
rilevante  ai  fini  della decisione che questo g.u.p. e' chiamato ad
assumere.
   Ove,  infatti,  si dovesse ritenere non conforme a Costituzione la
vigente previsione dell'art. 33, legge n. 69/2005, Cojocariu Cristian
dovrebbe  essere  rimesso in liberta' per effetto della dichiarazione
di  perdita  di  efficacia  della  misura  cautelare  emessa nei suoi
confronti  dal  g.i.p.  di  Reggio  Calabria  il  28  giugno 2006 per
decorrenza  del termine di fase di cui all'art. 303 comma 1, lett. a)
n. 2  c.p.p.  di  mesi  sei dal momento del suo arresto in Romania in
esecuzione  del  m.a.e.  emesso dallo stesso g.i.p. in data 3 gennaio
2007 ed eseguito il 16 febbraio 2007.
   In caso contrario, non vi sarebbe nessuna dichiarazione di perdita
di  efficacia, dovendosi computare il termine di fase a partire dalla
data  della consegna dell'imputato in Italia, vale a dire dal 5 marzo
2007  (del  periodo  di  custodia  presofferta in Romania si dovrebbe
tenere  conto  solo  ai  sensi  degli  artt.  303, comma 4, 304 e 657
c.p.p.).